Inky, una recensione

Adorno, in Minima Moralia, afferma che «L’amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile». Sono convinta che per portare avanti le lotte che ci stanno a cuore, questo non basti. […] il dissimile presuppone sempre una distinzione, un’identificazione. Forse è giunto il tempo di guardarsi allo specchio, e smettere di riconoscersi. (Feminoska[1])

 

Nella notte tra il 11 e il 12 aprile, il polpo Inky scappava dall’acquario che per due anni lo aveva recluso. Sollevando il coperchio della sua gabbia di vetro, percorrendo il pavimento e infilandosi in un tubo di scarico lungo 50 metri, Inky raggiungeva le acque della baia di Hawke, in Nuova Zelanda, libero.

Quella di Inky è stata una fuga rocambolesca, che i media hanno esaltato e spettacolarizzato rendendola un siparietto divertente, un evento eccezionale o un curioso aneddoto su un animale più astuto degli altri.

La fuga di Inky, invece, non è poi così straordinaria: tutta la storia dell’oppressione animale si basa sul contenimento delle azioni di resistenza ed evasione. I recinti, i gioghi, le briglie, il morso, le pratiche di mutilazione quali la rimozione delle corna dei bovini, delle zanne dei maiali e la sterilizzazione degli individui più aggressivi e infine la selezione genetica sono testimonianze storiche del fatto che gli animali non siano mai stati complici inermi dei loro sfruttatori quanto piuttosto siano individui che lottano e che hanno sempre lottato.

Il libro Inky di Stefania Valenti, a.k.a C’era una Ri-Volta, ci restituisce la normalità degli animali che si ribellano e lo fa già dalla sua copertina. Inky è un polpo comune e questa sua normalità è una parte integrante e fondamentale del suo corpo illustrato: non ci sono occhioni in cui specchiarsi, ma due occhi grandi e pieni, non ci sono bocche che ci sorridono perché Inky ha la bocca al centro dei tentacoli (e quindi noi non possiamo vederla!) e c’è una strana protuberanza giallo-arancione vicino la testa, il sifone.

E Stefania (che chiamiamo per nome perché la conosciamo e non con quell’operazione che invisibilizza i cognomi delle donne!) in tutto il libro continua a raccontarci che Inky è diverso da noi, attingendo anche al suo bagaglio di studi naturalistici: sono tre i cuori di Inky che battono all’impazzata durante la sua lotta con il pescatore che lo avrebbe poi catturato e sono l’assenza di ossa e quella capacità peculiare dei polpi di cambiar forma e dimensione che hanno reso possibile la sua fuga. Ma Stefania, soprattutto, ci dice che la storia di Inky è una storia vera e questo ci fa sperare che quando lə bambinə metteranno in pratica quell’inevitabile processo di identificazione con il protagonista del libro, lo faranno sapendo inconsciamente che non vi è alcuna simbologia: la storia di Inky non parla di loro, ma parla soprattutto di Inky, che Inky non è speciale e che le sue caratteristiche, dai tre cuori all’anelito per la libertà, sono comuni a tutti i polpi.

E se a molti la storia di Inky ha ricordato il film per bambinə Alla ricerca di Nemo, in realtà il libro Inky e il film della Pixar sono quantomai distanti. Dietro le avventure di Nemo (un pesciolino che va a scuola, tra l’altro), vi è un viaggio per conquistare la fiducia e l’autonomia da un padre iperprotettivo, oltre alla solita morale (neoliberale) per la quale la perseveranza di fronte alle avversità è una garanzia di successo. Inky, invece, non ha messaggi nascosti: è solo la storia di un polpo comune e di un’ancor più comune lotta per la libertà.

[1] Feminoska, 2021, Lo sguardo neutrale non esiste. Antispecismo e intersezionalità. Verso una politica delle alleanze. In M. Reggio e N. Bertuzzi (a cura di), Smontare la gabbia, Mimesis Edizioni, Milano.